GLI ANNI RUGGENTI

Gli anni ruggenti

Nel lontano '51 inizia la storia della musica leggera italiana con l'esordio di Nilla Pizzi che, commossa, si rivolge alla città di Sanremo intonando "Grazie dei Fiori".


L'anno dopo, popolare ormai quanto una santa patronale, riesce a confermare il successo librandosi come una "Colomba bianca vola" in un cielo non ancora "Blu dipinto di blu".


Per lei appare ancora distante anni luce il "Viale d'autunno" che invece germoglia, nel '53, grazie alle corde vocali di Carla Boni e alla simpatia di Flo' Sandos.


Nel frattempo gli addetti ai lavori s'accorgono di aver dimenticato, nel paese per eccellenza dei buoni sentimenti, l'ottava nota in "si bemolle maggiore" che potesse far vibrare l'ineffabile corda del cuore.


Così, puntuale e con notevole perspicacia, venne raccolto il suggerimento delle ugole d'oro di Consolini e di Latilla che, dedicando la canzone a "Tutte le mamme" del Mondo, furono promossi vincitori dalla giuria e da un nutrito esercito di sposi.


Tuttavia l'anno seguente, quel contagioso sentimentalismo che seppe unire il Bel Paese dal nord al sud più di quanto non fosse riuscito a fare Garibaldi, sembrò dileguarsi, per lasciar posto a un'atmosfera talmente poco allegra che persino la canzone vincente s'intitolava, in tema, "Buongiorno tristezza" nell'interpretazione dell'ottavo re di Roma: Claudio Villa.


Per fortuna nel '56 si respirava già aria di rinnovamento generale incoronando, nel tempio della "Schola Cantorum", una rassicurante Franca Raimondi, versione Mary Poppins nostrana, con "Aprite le finestre, è primavera!".


Contemporaneamente, dall'altra parte del Globo, debutta un carneade che pareva avesse inventato I' "hula-hoop" di nome Elvis Presley.


E mentre altrove correva tempo di neve, il clima a Sanremo nel '58, era ammantato da raggi di sole che inondarono di gloria un vulcanico Modugno, "Mister Volare", nel "Blu dipinto di blu".


La sua orbita celeste, a differenza di quella di Gagarin, brillerà di più e più a lungo perché fuori da coordinate cartesiane.


Il suo zenit infatti si trovava dentro il sogno di un sogno. L'anno successivo, fra altalenanti conferme e smentite del generale Bernacca sulle condizioni meteorologiche, altrettanta fortuna gli arrise, scendendo sempre dal cielo, la canzone "Piove" mentre in un cielo quasi azzurro come quello di Sanremo, Laika, la cagnetta russa, salirà oltre le candide nuvole verso un Paradiso non ancora di serie A.


Sicuramente lassù, fluttuante fra le stelle della notte, avrà provato l'angosciosa sensazione di sentirsi sola come il poeta Quasimodo, che trafitto da un raggio di sole, riflette; ed è subito sera.


Per lui, sarà anche subito Nobel.


Intanto l'occhio magico del box opalescente offrirà presto agli Italiani la convinzione d'essere diventati, all'improvviso, tutti dei Paperon de' Paperoni, lasciando svanire l'idea che i poveri possono fare soltanto i ladri per sopravvivere.


Infatti i profeti hanno perso per strada le bibliche barbe immacolate per indossare "griffe" sobrie, mentre il controfagotto di Degoli non tarderà a diventare più popolare di un frate benedicente che, sottovoce e con umiltà,

soccorre la pur sempre gravida madre degli afflitti.


"Il Musichiere", docet.


Dignità di stampa all'anno '60, il quale battezza i "Beatles" e che vede vincitore, forse più di Berruti a Roma, il piccolo grande uomo Rascel alle Olimpiadi di Sanremo.


Nel '61, la Sovrintendenza alle Belle Arti valorizzerà un patrimonio artistico vivente, dichiarando monumento nazionale la statuaria Mina.


Le sue "Mille bolle blu", più che gorgogliare, rappresentano trilli di uno Stradivari o un Guarnieri del Gesù, ma con l'atout di essere accordati da una cassa armonica senz'altro più provocante.


Un autentico plebiscito ottenne nel '63 Tony Renis, oggi "Premio alla carriera" con "Uno per tutte", anche se l'unico eroe giovane e bello come canta ispirato Guccini nella sua "Locomotiva", quell'anno non fu baciato dalla dea Caìssa a Dallas.


Prima ancora, lacrime non di gioia, avevano già accompagnato una creatura che raccontava a se stessa: "Aiuto, sta arrivando la vita!".


Fa male davvero accorgersi, in seguito, come proprio nell'oscurità s'allontani quello sguardo scandalosamente intenso dove tutto illuminava e che, per tutti, avrà sempre un solo nome: Marilyn.


L'edizione del '64 vide affermarsi sul proscenio della ribalta canora lo stile "Barbie" da ingenua ragazza della porta accanto, certa Cinquetti Gigliola che sospirava con candore "Non ho l'età", assumendo la stoica espressione

dell'eroina già vittoriosa.


Il '65 fu l'apoteosi per Bobby Solo: la sua "Una lacrima sul viso" provocò preoccupanti tachicardie e la liquefazione di più di un mascara alle sue fans.


Purtroppo quella meravigliosa "sindrome di Peter Pan" dell'età sempreverde sopravvive soltanto nel Regno della Fantasia, neppure sfiorato dai meno favolosi anni della lotta di classe che intanto stavano velocemente trasformando la società, mentre la musica, con l'innovativo "sound" tecnologico, congedava, per raggiunti limiti di età, l'obsoleto fonografo insieme

al fedele cagnolino bianco della "Voce del Padrone".


Si scoprì, così ben presto, che l'Italia risultava essere più composita di quella bonariamente descritta da Guareschi e che i confini del decantato "Eldorado" oltrepassavano la soglia del rassicurante carosello di ipervitaminici biscotti Plasmon e di imbellettati "Da-da-umpa" dei rosa fenicotteri Kessler.


Infatti le soporose Tribune Elettorali del pastorale Jader Jacobelli apparivano sempre più come la rappresentazione dello "Yo-yo" che, tremolante nel filo logoro, non riusciva a sollevare neppure il pensiero alla platea più addomesticata.


Un vento nuovo stava dispiegando le vele ai "tupamaros" della televisione privata, cioè di quei timonieri dell'etere, senza anestesia, che navigavano sulla

rete "onda libera" spezzando il consolidato monopolio di Stato.


Nel frattempo, a diverse ore di fuso orario da qui, all'ombra del 73° parallelo, la leggenda di Woodstock, attraverso i miti di Joan Baez e di Bob Dylan, avrebbe influenzato più dell'"asiatica" i sogni della beat generation cullando la loro ribellione.


Quegli hieppies, i pacifisti figli dei fiori, erano sbocciati proprio nei "campus" dell'Università di Barkley.


Era l'epoca del rivoluzionario maggio francese infiorettato non soltanto con i petali rosa della Piaf e del controcorrente "Easy Rider" on the road come ci informava, con erre blesa, il singolarissimo Ruggero Orlando da New York.


Una volta tanto da "La zanzara", quel pruriginoso editoriale di un Liceo Classico chez nous, si estrarrà l'antidoto benefico da inoculare per risvegliare le coscienze obnubilate dal troppo letargo sessuofobico.


Luigi Tenco, abbracciato dalla luce, quella volta volerà in alto.


Sarà l'ultimo profumo, ma intenso e puro, di un raro fiore "en plein air" in mezzo a quelli coltivati.


Come sempre accade furono in pochi a comprendere quel poeta, grande già da vivo, ma scomodo per coloro ai quali pensare non deve essere lecito se non in play back.


Sempre in anticipo sul ritardo, anche in Italia divampa il '68: in quel teso periodo di contestazione generale si poteva avvertire, denso e inquietante, il malumore di un crescente disagio giovanile espresso in maniera egregia dal talento di Bellocchio nell'opera "Pugni in tasca".


Risultava subito fin troppo chiaro come, in quell'atmosfera incandescente, occorresse domare l'imprevedibile mustang che, senza controllo, stava disarcionando un equilibrio già precario del "sistema".


Sergio Endrigo, allegra controfigura da digestivo "Antonetto", con "Canzone per te", riuscirà a placare gli alterati ritmi "sonno-veglia" persino ai più refrattari

consumatori di Tavor.


L'almanacco del '69 resterà negli annali della storia perché, oltre a imporsi la canzone "Zingara" della Zanicchi, salirà sul podio più alto anche Fortebraccio. Traduzione italianizzata di Armstrong, colui che, per primo, lascerà sulla Luna oltre al calco del suo piede, idealmente quello di ognuno di noi.


Nel '70 non fu troppo inattesa l'acclamazione, nell'arena del "Circus", della coppia Celentano-Mori che trionfa con "Chi non lavora non fa l'amore" per redarguire, almeno nell'intento, certo non l'agiata e benestante borghesia "coiffeuse Vergottini" e "maison Fendi" estimatrice del dipinto di Pelizzi da Volpedo "Quarto Stato" o "Marcia dei lavoratori".


Infatti quell'inno gioioso ma inappellabile come una sentenza, apporterà impulso e nuova linfa alla stremata seppur laboriosa categoria dei "Monsù travet" (Lux, Fiat!).


Menzione onorevole anche all'entrata in vigore della sospirata teleselezione, che riuscirà ad avvicinare gli italiani più di quanto non sia riuscito a fare l'inno di Mameli.


Grazie a essa, la forma a stivale dell'Italia assumerà la connotazione di un agile polacchino da gruppo rock, relegando la tanto amata fiaba "Il Gatto con gli stivali" come se incarnasse la grottesca immagine di un pescatore di altri tempi.


Nel '72 fece capolino la voce un po' roca della meteora Nicola Di Bari che, tenero Calimero in occhialini da frate Indovino si assicura, con "I giorni dell'arcobaleno", un tonificante approdo hawaiano sulle spiagge del Mar Ligure in compagnia della rassegna sanremese sempre pronta, come una barchetta di carta, quasi a naufragare nella sua "Missione impossibile".


Ma, come è risaputo, il successo si fregia di cento paternità, a differenza della sconfitta che è sempre orfana, come scriveva Indro Montanelli.


Intanto i novelli Prometeo che avevano osato sfidare i notabili man mano stavano diventando esattamente come loro.


E così, tra cimeli che profumavano sempre più di naftalina e meno di lavanda, le struggenti note della tromba di Nini Rosso davano il commiato, insieme al poster del "Che", al "Libretto rosso" di Mao e ai trattati del guru Marcuse, anche all'eskimo color verde stinto quasi fosse, ormai, un'ingombrante "Vecchio scarpone" fuori moda.


L'edizione del '74 elegge regina la canzone della Zanicchi "Ciao cara, come stai?", forse in risposta, proprio in quell'anno, al liberatorio divorzio. Il clero, con in testa Fanfani, non è che perderà, tuttavia vinceranno gli altri.


Anche se sul comodino, come diceva la canzone di Cochi e Renato intitolata "Non si sa mai" è bene per chi si professa radical-chic, tenere in gran considerazione la fosforescente Madonnina di Lourdes.


Altra pietra miliare sarà il '78: questa volta il vero primo assoluto si rivelerà il Festival stesso, in onda in technicolor.


Tra sacro e profano le luci della ribalta abbagliano anche il serafico Fra' Cionfoli che non resiste alla tentazione di misurarsi dall'alto di quel palcoscenico con il protagonista del film "Lassù qualcuno mi ama".


Quasi ex-aequo Antonella Ruggero: anche per lei con "...E dirsi ciao!" dei Matia Bazar, più che la fascia tricolore, sarà un arcobaleno di gioia a colorare la sua meritata vittoria.


Il particolare stato di grazia degli italiani raggiunse il suo apogeo nell'82, quando l'esaltante prestazione di "Pablito" Rossi nel "Mundial" fece scoprire, indistintamente a tutti, d'essere in possesso dei necessari requisiti per il concorso a primariato calcistico, oltre al master nella specialità della canzone già quotato in borsa quanto la ceramica High-Tech.


Ecco incalzante l'87, che dopo un periodo di felice benessere, fa conoscere l'insidiosa "congiuntura".


Ma forse il destino dell'Umanità si scrive proprio qui; altrove, nel Mondo, non può esserci che il turbinio di un'insana follia.